Ho sempre guardato al diverso più con curiosità che con paura. Sarà per i valori che mi hanno trasmesso i miei genitori e i miei nonni, sarà perché sin da piccolissimo mi divertivo a interagire con gli stranieri che venivano a fare campeggio in Italia.
Sarà perché sono nato dalla parte giusta del mondo, non tra gli ultimi e nemmeno tra i penultimi (termine rubato a Ilda Curti), ma in una famiglia che, senza grandi mezzi economici e con il limite dell'ossessione di mio padre di voler guidare, e la sua fobia per il volo, ha sempre pensato che viaggiare fosse una delle cose più importanti ed educative che ci siano. Viaggiare, vedere e toccare con mano la diversità, è il modo migliore per sviluppare la tolleranza.
Poi cresci e ti rendi conto che il razzismo è una cosa naturale, l'istinto che ti rimane in eredità da quando gli uomini erano animali e non persone civili. Poi cresci e ti rendi conto che la paura del diverso è soprattutto paura della miseria, della povertà, di dover dividere le tue risorse con altri.
Non mi scorderò mai di quando arrivarono i primi immigrati magrebini ai Boschi, un paese comunista e solidale, e si crearono i primi disagi. Perché le stesse persone che sulla spiaggia erano gentili con i vu' cumprà, ci scherzavano come si fa con gli amici, e magari gli offrivano due fette di pane al pomodoro e un po' d'acqua, non volevano i marocchini come vicini. Una parte della comunità, i miei in testa insieme a Sonia, si adoperò per far cadere la barriera di diffidenza e disagio reciproco, e tutto si risolse. Però non mi scorderò mai come, nell'incontro pubblico che venne organizzato, un bravissimo signore antirazzista snocciolò i dati degli stranieri residenti a Lari: "X marocchini, X senegalesi, X tunisini...e poi vabbé, 2 tedeschi in pensione, 3 svizzeri e 2 americani di Camp Darby".
Non avevo ancora 18 anni, ma mi alzai in piedi: Scusi, perché ha detto vabbé? Sono stranieri anche loro, no? E aggiunsi provocatoriamente: uno degli americani di Camp Darby è anche nero...allora non è il colore della pelle il problema, il problema sono i poveri.
Più che giro il mondo a spaccare pietre, più mi accorgo che avevo drammaticamente ragione: il colore della pelle non conta (quasi) nulla, proprio come per le pietre che spacco: ci sono basalti neri e rioliti chiare, e poi ci sono un sacco di daciti nere come i basalti, però se le rompi e guardi di che minerali sono fatti allora capisci davvero cosa sono. Così vale per gli uomini: meglio guardarli bene, da vicino e dentro.
Così vale per gli uomini: in Burkina sono tutti neri. Il vescovo è pieno di oro e pesa 150 kg, i ministri hanno l'aria condizionata e vivono nell'opulenza, e poi ci sono i bambini che muoiono di fame o di malattia. In Etiopia sono tutti neri, più o meno: i professori universitari vivono come noi, gli autisti della Rainbow sono fortunati perché hanno un buon lavoro (e buone mance) perché portano in giro i turisti, ma se nasci in un villaggio di campagna è bene che tu sia il figlio del capo villaggio, se no ti aspetta una vita dura, ed è molto molto difficile, studiando o lavorando, salire i gradini di ceto sociale.
Il colore della pelle non è così importante, no.
Mi divertivo a vedere i fascistelli della mia età sbavare dietro a Naomi Kampbell, più che a Claudia Schiffer, e scommetto che anche il WASP più stronzo della South Carolina nemmeno si accorge che Sofia Vergara è di razza ispanica e non bianca caucasica (come dicono negli USA, ignorando che la Spagna sia in Europa, figuriamoci se abbiano una idea di cosa sia e dove sia il Caucaso).
Ecco, dopo i fatti di Torino, dovremmo tutti riflettere su questo. Tutti i cittadini italiani, non solo tutti i cittadini di Torino dovrebbero ringraziare Ilda Curti per il lavoro che fa quotidianemente e riflettere su quello che scrive. Una lezione per tutti.
Io sono contento di essere in buona compagnia: con Federico Russo, che su facebook ci dice che anche a Pisa, ogni tanto si leva qualche stronzo che dice che si fa troppo per i ROM, con Stefano Landucci, che gli fa da eco: per non sentirci colpevoli, l'unico modo è saper distinguere ciò che è giusto da ciò che porta consenso.
I razzisti vanno sempre contrastati, sempre, non bisogna mai arretrare. E tutti i giorni dobbiamo anche combattere il razzista che si nasconde in noi.
Perché il razzismo è la spiegazione primordiale, istintiva a tutti i mali: è colpa dei ROM se non sei più vergine, come è colpa dei ROM se ti rubano in casa. Un ragazzo di Stagno con problemi di droga rubò in casa dei miei nonni; prese uno yogurt dal frigo, ne mangiò mezzo e lo lasciò aperto sul tavolo di cucina, prima di scappare con la macchina rubata a mio cugino: "classico modus operandi degli zingari", chiosarono i Carabinieri, due giorni prima di beccarlo con le mani nel sacco.
I razzisti vanno contrastati in tutti i modi. Anche con l'ironia, perché farli sentire idioti è il primo modo per farli smettere di essere bestie e farli diventare umani. Non è una battaglia facile, almeno, non sempre è una battaglia facile. In alcuni casi fortunati lo è: e ora sputatevi in faccia a vicenda, sporchi ebrei!
Sarà perché sono nato dalla parte giusta del mondo, non tra gli ultimi e nemmeno tra i penultimi (termine rubato a Ilda Curti), ma in una famiglia che, senza grandi mezzi economici e con il limite dell'ossessione di mio padre di voler guidare, e la sua fobia per il volo, ha sempre pensato che viaggiare fosse una delle cose più importanti ed educative che ci siano. Viaggiare, vedere e toccare con mano la diversità, è il modo migliore per sviluppare la tolleranza.
Poi cresci e ti rendi conto che il razzismo è una cosa naturale, l'istinto che ti rimane in eredità da quando gli uomini erano animali e non persone civili. Poi cresci e ti rendi conto che la paura del diverso è soprattutto paura della miseria, della povertà, di dover dividere le tue risorse con altri.
Non mi scorderò mai di quando arrivarono i primi immigrati magrebini ai Boschi, un paese comunista e solidale, e si crearono i primi disagi. Perché le stesse persone che sulla spiaggia erano gentili con i vu' cumprà, ci scherzavano come si fa con gli amici, e magari gli offrivano due fette di pane al pomodoro e un po' d'acqua, non volevano i marocchini come vicini. Una parte della comunità, i miei in testa insieme a Sonia, si adoperò per far cadere la barriera di diffidenza e disagio reciproco, e tutto si risolse. Però non mi scorderò mai come, nell'incontro pubblico che venne organizzato, un bravissimo signore antirazzista snocciolò i dati degli stranieri residenti a Lari: "X marocchini, X senegalesi, X tunisini...e poi vabbé, 2 tedeschi in pensione, 3 svizzeri e 2 americani di Camp Darby".
Non avevo ancora 18 anni, ma mi alzai in piedi: Scusi, perché ha detto vabbé? Sono stranieri anche loro, no? E aggiunsi provocatoriamente: uno degli americani di Camp Darby è anche nero...allora non è il colore della pelle il problema, il problema sono i poveri.
Più che giro il mondo a spaccare pietre, più mi accorgo che avevo drammaticamente ragione: il colore della pelle non conta (quasi) nulla, proprio come per le pietre che spacco: ci sono basalti neri e rioliti chiare, e poi ci sono un sacco di daciti nere come i basalti, però se le rompi e guardi di che minerali sono fatti allora capisci davvero cosa sono. Così vale per gli uomini: meglio guardarli bene, da vicino e dentro.
Così vale per gli uomini: in Burkina sono tutti neri. Il vescovo è pieno di oro e pesa 150 kg, i ministri hanno l'aria condizionata e vivono nell'opulenza, e poi ci sono i bambini che muoiono di fame o di malattia. In Etiopia sono tutti neri, più o meno: i professori universitari vivono come noi, gli autisti della Rainbow sono fortunati perché hanno un buon lavoro (e buone mance) perché portano in giro i turisti, ma se nasci in un villaggio di campagna è bene che tu sia il figlio del capo villaggio, se no ti aspetta una vita dura, ed è molto molto difficile, studiando o lavorando, salire i gradini di ceto sociale.
Il colore della pelle non è così importante, no.
Mi divertivo a vedere i fascistelli della mia età sbavare dietro a Naomi Kampbell, più che a Claudia Schiffer, e scommetto che anche il WASP più stronzo della South Carolina nemmeno si accorge che Sofia Vergara è di razza ispanica e non bianca caucasica (come dicono negli USA, ignorando che la Spagna sia in Europa, figuriamoci se abbiano una idea di cosa sia e dove sia il Caucaso).
Ecco, dopo i fatti di Torino, dovremmo tutti riflettere su questo. Tutti i cittadini italiani, non solo tutti i cittadini di Torino dovrebbero ringraziare Ilda Curti per il lavoro che fa quotidianemente e riflettere su quello che scrive. Una lezione per tutti.
Io sono contento di essere in buona compagnia: con Federico Russo, che su facebook ci dice che anche a Pisa, ogni tanto si leva qualche stronzo che dice che si fa troppo per i ROM, con Stefano Landucci, che gli fa da eco: per non sentirci colpevoli, l'unico modo è saper distinguere ciò che è giusto da ciò che porta consenso.
I razzisti vanno sempre contrastati, sempre, non bisogna mai arretrare. E tutti i giorni dobbiamo anche combattere il razzista che si nasconde in noi.
Perché il razzismo è la spiegazione primordiale, istintiva a tutti i mali: è colpa dei ROM se non sei più vergine, come è colpa dei ROM se ti rubano in casa. Un ragazzo di Stagno con problemi di droga rubò in casa dei miei nonni; prese uno yogurt dal frigo, ne mangiò mezzo e lo lasciò aperto sul tavolo di cucina, prima di scappare con la macchina rubata a mio cugino: "classico modus operandi degli zingari", chiosarono i Carabinieri, due giorni prima di beccarlo con le mani nel sacco.
I razzisti vanno contrastati in tutti i modi. Anche con l'ironia, perché farli sentire idioti è il primo modo per farli smettere di essere bestie e farli diventare umani. Non è una battaglia facile, almeno, non sempre è una battaglia facile. In alcuni casi fortunati lo è: e ora sputatevi in faccia a vicenda, sporchi ebrei!
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