mercoledì 17 luglio 2013

A 461409

Quando presi il passaporto, alla fine del 2003, il mondo era un altro. Non c'era Monica, non c'era Filippo, ogni viaggio sapeva di scoperta, e c'erano i miei nonni, quelli che mi allungavano qualche euro: "usali per telefonare", e mi schioccavano il velo della Madonna di Loreto nel portafoglio, "anche se non ci credi, ma in aereo portalo".
Già, non c'era nemmeno skype, internet si trovava in zero alberghi (soprattutto di quelli che frequentavo io) e in qualche internet cafè, e al massimo si chattava tutto per scritto.

E, per prendere il passaporto alla questura c'erano le file, ci voleva un mese, e andava fatto per tempo, perché non si sa mai. Quando presi il passaporto, a fine 2003, il mio passaporto non era A 461409, era quell'altro, che conservavo gelosamente perché aveva su i timbri della Patagonia, del confine di Monte Aymond (vulcanetto che è nella mia tesi di laurea), tra Chile e Argentina. Il mio passaporto era talmente quell'altro che, a Maggio 2004, presi quello vecchio e arrivai all'aeroporto a Pisa con il passaporto vecchio, con scritto ANNULLATO, e Sonia fu spedita in Turchia da sola, con la sua valigia e la mia, e arrivai il giorno dopo, col passaporto buono.

La prima volta che usai il passaporto A 461409 si andava in Salvador, con Fabrizio e tutta la truppa, ed era la prima volta che, per fare scalo, mettevo piede negli USA, e tutti erano pronti a prendermi in giro, perché quando arrivavi in USA dovevi compilare un modulo e rispondere a una domanda: sei comunista? E tutti ci rimasero male, perché quel modulo era cambiato pochi mesi prima, e quella domanda non c'era più. E fu un bene, perché io nel 2004 non lo sapevo mica se ero comunista o no, e in USA si può solo rispondere sì o no a certe domande.

A dicembre il mio passaporto sarebbe scaduto, e visto che quasi tutti vogliono un passaporto valido almeno sei mesi, oggi sono andato a rifarne uno nuovo. Zero file, appuntamento preso su internet, dieci minuti, personale gentile e molto competente, e ci vorrà una settimana. E mi hanno chiesto quasi scusa perché mi hanno preso le impronte digitali. Per me, ci dovrebbero anche prendere il DNA a tutti, altro che le impronte digitali. E poi c'era quel modulo, quello da riempire quando hai figli minori, quello che cambia per sempre il tuo stato d'animo quando sei in viaggio.

E il funzionario è stato così gentile che non ha battuto ciglio quando gli ho detto che avrei voluto conservare anche il vecchio passaporto, perché ci sono un sacco di timbri e visti strani, mi ha risposto: "ma certo", ha annullato tutte le pagine e me l'ha ridato. Dieci anni fa fecero un sacco di storie.

E così, dopo dieci anni, cinque timbri turchi, sei timbri USA (tra quelli presi in transito e quelli presi perché andavo davvero in USA), tre salvadoregni, due canadesi, due messicani, due etiopi, uno australiano, uno guatemalteco, uno giordano, uno siriano, uno burkinabé, uno egiziano, uno thailandese, uno cambogiano e uno birmano, il passaporto A 461409 va in pensione, portandosi dietro tutti i continenti e un sacco di ricordi.


E se mi chiedeste quale posto mi è piaciuto di più, o in quale di questi posti vorrei tornare vi risponderei che non saprei dirvelo, che tutti a modo suo meritano. Però se mi chiedeste quali di quei timbri mi danno più ricordi, non avrei dubbi: non le fredde frontiere aeroportuali, ma le frontiere vere, quelle che si attraversano in macchina, o meglio a piedi. Le frontiere, quelle che in Europa non esistono quasi più e che si vedono solo nei film.

Come il valico di San Cristobal, tra Guatemala e Salvador, dove un poliziotto (vero? falso?) disse a Giacomo che il suo passaporto non era valido, solo perché voleva dieci dollari di mancia, cui fu risposto in perfetto spagnolo: "sì, vien via, io passo lo stesso". E soprattutto come il valico Thailandia-Cambogia di Poipet, dove veramente sembra di vivere in un film, coi doganieri corrotti proprio come te li raccontano (che se non gli dai 5 dollari non ti fanno il timbro nemmeno a morire, il passaporto vi scade tra le loro mani), con le valigie in mano e i facchini che se le litigano, e con tassisti improbabili di qua e di là dalla frontiera. Ecco, se proprio vi devo dare un consiglio, non andate da Bangkok a Siem Reap con un comodo volo low coast. Andateci via terra, e riguardatevi tutta la vita quel bellissimo e sudatissimo timbro sul passaporto, perché vale davvero più di tanti templi e paesaggi.

E adesso avanti, a collezionare timbri, ed esperienze di vita, su quello nuovo.

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