Se venite in Toscana, potranno chiamarla ribollita, minestra di pane, o in altri cento modi. Dalle mie parti si chiama zuppa di cavolo, perché si fa nella versione più pura (niente zucchini, patate o piselli, per capirsi).
Per me la zuppa di cavolo non è solo l'unica ricetta che la mia mamma sia capace di fare bene, è l'esempio di quanto conti la manodopera più degli ingredienti, è una cosa che porti in tavola dicendo: ecco, questa cosa l'ho fatta per dimostrarvi che vi voglio bene e sono contento di pranzare con voi.
Oggi, tra la cecìna di Monica per antipasto e la gara di bistecche tra i due macellai di Lari (il Ceccotti che sarà per sempre il mio preferito, e Davide, che a sentire Damiano poteva competere alla pari), abbiamo mangiato la zuppa di cavolo. Chi non c'era non sa cosa si è perso, chi c'era avrà pensato, come me, che il tempo corre quando si sta veramente bene.
PS: la zuppa di cavolo io la faccio così. Un abbondante soffritto di cipolla, carota e sedano in olio extravergine di oliva, nel quale si fa appassire il cavolo (l'ideale è il cavolo nero, un po' strinato dal freddo invernale, ma si può fare anche con il cavolo cappuccio o il cavolo verza in questa stagione) per un'ora abbondante. Parallelamente si lessano i fagioli (io ci metto solo sale, aglio e salvia). Poi si passano i fagioli con l'acqua di cottura (o si frullano con un frullatore a immersione, unica variante concessa dalla modernità), si butta il brodo di fagioli nel pentolone con il cavolo stufato nel soffritto e si cuoce tutto insieme per un'altra ora abbondante (più si cuoce, meglio è). Per dare un po' di colore ci si mette un po' di concentrato di pomodoro.
Si taglia a fette sottili il pane toscano (sciapo) posato, si inzuppa con il brodo e si lascia riposare per una mezz'ora. La morte sua sono un po' di olio a crudo e uno spicchio di cipolla cruda. I fiorentini la chiamano ribollita perché dopo avere inzuppato il pane con il brodo rimettono tutto sul fuoco e fanno ribollire il composto: per me è un'aberrazione, ma il risultato è comunque buono.
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